La mattina era nuvolosa. La città era Parigi. La casa, quella di una scrittrice famosa, Marguerite Duras. È per lei che sono qui. Come sempre. Come dal mio primo viaggio a Parigi.
Questo non è il primo luogo dove Duras ha abitato, a Parigi. Prima ne avuti altri, venendo dall’Indocina. Io naturalmente li ho visti tutti. Da fuori. Sono stata in avenue Victor Hugo a Vanves, in rue Chomel, in rue Vaugirard. Ma questo è il luogo parigino più importante perché qui lei ha vissuto moltissimi anni e ci ha vissuto molte cose, da lei si sono riuniti intellettuali, c’è passato anche Elio Vittorini, scrittore italiani che le era amico. Qui lei ha vissuto gioie e disperazioni, e qui è morta. E ora io sono proprio qua davanti, in questa giornata fredda, con il sole che si nasconde di continuo fra le nuvole, e guardo l’edificio. È bianco. Si trova al numero cinque di rue Saint-Benoît, nel sesto arrondissement, in piena rive Gauche, nel quartiere di Saint-Germain-de-Prés, il quartiere degli intellettuali.
Poco più in là ci sono il Café Flore, dove andava spesso Hemingway, e Les deux Magots, dove svernavano Sartre e Simone de Beauvoire.
Io ci sono andata al Café Flore, quest’estate, a fare colazione, ed ero così emozionata che non ho neanche visto la fila, e mi sono cacciata dentro come niente fosse e mi hanno fatto pure sedere, nella Terrasse. Ho ordinato un té e una brioche, che non è il croissant, e infatti non ne potevo più di croissant, perché ero a Parigi da cinque giorni e l’avevo preso ogni mattina per colazione e ora mi scorreva più burro che sangue nelle vene.
Anche ai due Magots ero stata, una sera, e avevo preso un cocktail analcolico, che era freddo e arancione, mentre intorno a me delle signore arabe stavano scegliendo dei dolci che il cameriere gli stava mostrando in una teca, e poi assieme ai dolci avevano ordinato anche una coca cola e delle patatine fritte e poi era arrivato un uomo a pagare e io avevo pensato che quelle donne erano mogli di qualche sceicco degli Emirati Arabi - magari dello stesso - che aveva a Parigi uno o due appartamenti per l’estate, e che quella era probabilmente la loro ora d’aria prima di tornare nel caldo del deserto, refrigerate dall’aria condizionata di stanze moderne da cui però non potevano uscire se non con il consenso del marito sceicco.
Ho comunque invidiato le loro possibilità economiche, date che per quello spuntino ci avevano lasciato quasi ottanta euro.
Ma quelle possibilità economiche, a ben guardare, non erano loro ma del marito sicché eravamo punto a capo, solo che io non volevo dipendere né da un uomo né da nessun altro mentre loro ci si erano rassegnate, o forse non avevano potuto fare diversamente, chi lo sa, avevo letto su un giornale che la figlia dell’Emiro aveva cercato di scappare in Europa e gli scagnozzi del padre l’avevano racciuffata, e ora viveva rintontita dagli psicofarmaci perché non riprovasse più ad andarsene, e io l’avevo trovata una storia terribile e ancora più terribile avevo trovato che si organizzassero così tanti n negli Emirati Arabi senza considerare cosa accadeva lì dentro, non da ultimo dentro la casa dello sceicco, perché la violenza ci riguarda tutti, e di quella sulle donne si fa un gran parlare e poi si scopre che siamo ancora al tempo degli uomini primitivi, che si riportavano a casa le donne con la clava.
Comunque, intanto, io e le donne arabe eravamo tutte sotto il cielo di Parigi, segno che la bellezza del mondo esisteva anche per noi, e Parigi esisteva anche per noi, ed ecco che la sera calava, il mio cocktail finiva, loro se n’erano già andate lasciando là la metà dei dolci, e un giorno nuovo finalmente spuntava, io facevo colazione al café Flore e poi era di nuovo inverno, e io ero tornata a Parigi, con altri risparmi che ormai cominciavano a finire, e mi incamminavo, alleggerita degli undici euro che avevo lasciato per la colazione, verso rue Saint Benoît. Fuori faceva freddo.
Eccola, rue Saint Benoît: è stretta, corta. Secondo me ci viene solo chi sa che qui ci abitava la scrittrice. Ed ecco un turista, infatti, con la moglie. Hanno le valigie quindi sono turisti, penso. E infatti parlano tedesco e io gli chiedo di scattarmi una foto davanti al condominio di Duras, c’è anche la targhetta che attesta che lì ci ha vissuto per un sacco di anni. C’è anche un’altra targhetta, a dire il vero, che dice che là ha vissuto anche un poeta, ma di quella non mi frega niente. Mi faccio scattare la foto. Ringrazio. Poi guardo la foto. Non mi piace. Mannaggia.
Allora aspetto che passi qualcun altro. Passa una ragazza. Anche lei con la valigia. Dev’esserci un albergo qui. Meglio. Se è una turista può capire le mie stramberie da straniera. Chiedo una foto anche a lei. Questa volta la foto va bene. La ringrazio. La ragazza sorride e se ne va. Io invece non me ne vado per niente e resto in contemplazione dell’edificio.
So benissimo cosa vorrei. Vorrei entrare. Ma non si può. L’appartamento in cui abitava Duras ora è affittato a un privato, non si sa chi. E non ci sono neanche i campanelli, né i citofoni, ci sono solo i codici e quindi cosa posso fare? Alzo gli occhi. C’è una finestra aperta. Alla finestra c’è un uomo. È un operaio. Sarebbe bello, penso, se mi aprisse. Ma cosa posso fare? Non posso mica urlargli dalla strada e per lo più in francese.
In quel momento arriva un suo collega. Che è un collega lo scoprirò più tardi. Intanto sta aprendo la porta. Io gli grido: Excusez-moi, Monsieur!, e gli corro dietro ma lui non sente. Entra nel portone e io mi infilo dietro prima che la porta si chiuda. Sono dentro. Ora sta digitando un altro codice davanti a un’altra porta, questa di vetro. Gli propino la solita tiritera che propino a tutti quanti e cioè che sono una scrittrice italiana che sta scrivendo un libro su Marguerite Duras e sui suoi luoghi e so che la scrittrice abitava lì. Potrei entrare con lui?
Lui alza le spalle, come se non gli importasse, quindi entriamo.
La porta a vetri si apre e saliamo per una scala a chiocciola. Lei abita qui, Monsieur?, gli chiedo. No! Dice lui ridendo, perché quello infatti è un posto da ricconi. Io sto facendo lei lavori al quarto piano, mi dice. Noto allora che è vestito da lavoro e ha delle scarpe anti infortunio.
Parliamo un po’ mentre arranchiamo per la scale.
Lei sa dove abitava Duras? Mi chiede. Sì, certo, gli dico, figurati se non lo so, penso. Al terzo piano a sinistra. Mi lascia dunque al terzo a sinistra, lanciandomi un’ultima occhiata incuriosita. E io suono il campanello. Dlin Dlon. Mi sa che non risponde nessuno, mi dico. Invece la porta si apre.
Sì? Chiede un uomo. Mi scusi, signore, so che Marguerite Duras abitava qui, potrei vedere la casa? Lui sorride. Lei non è la prima, dice, e mi lascia entrare.
A gennaio sono di nuovo a Parigi. Io e V. passeggiamo sulle rive della Senna. Fa ancora un freddo cane e il cielo è ancora grigio. Le acque della Senna gorgheggiano attraversate dai bateaux mouches.
Sai, dico a V., ho promesso che quello che ho visto al numero cinque di rue Saint Benoît resterà per me. Però ti posso dire che, anche se dentro è tutto cambiato, i caminetti sono rimasti quelli di allora e i grandi specchi sui caminetti anche. Dalle finestre si vede la via, che sembra piccola piccola, e io mi sono emozionata pensando che stavo guardando quello che guardava Marguerite Duras quando era seduta alla sua scrivania.
Dai raccontami qualcosa di più, dice V. E mentre passa l’ennesimo bateau mouche sotto di noi, io comincio a raccontare.
Più tardi andiamo al ristorante Le petit Saint Benoît, dove veniva spesso a mangiare Marguerite Duras. Abbiamo ordinato io un risotto e lui una bistecca con le patate. Intorno a noi c’è un casino pazzesco, un grande via vai però, allo stesso tempo, c’è aria di casa.
Abbiamo chiesto qual era il tavolo di Marguerite Duras ma lei si sedeva un po’ dappertutto, a seconda di quanti ospiti aveva. Ci incastriamo allora in un tavolino ficcato tra altri due tavolini. Qui, per guadagnare lo spazio, ti spostano il tavolo per farti passare, così tu ti siedi, perché non riesci ad arrivare di lato al tuo posto o finiresti con la manica nel piatto del tuo vicino.
Ma che ci possiamo fare, Parigi è così, e piena di gente, e piena di cose, e a me piace anche per questo.
Il ristorante Le petit Saint Benoît è proprio sotto casa di Marguerite Duras, in rue Saint Benoît. Del resto è noto che si torna sempre sul luogo del delitto.
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