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Il 25 aprile e Il Gattopardo
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Il 25 aprile e Il Gattopardo

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Il 25 aprile e Il Gattopardo

L’altroieri era la Giornata mondiale del libro e io non sono riuscita a fare un post su questo sia perché ero impegnata a leggere sia perché ero indecisa tra quale libro scegliere per il post.

Avrei dovuto metterci il mio Suite per Irène o sarebbe stato autoreferenziale? Avrei dovuto scegliere il romanzone che stavo leggendo per il mio gruppo lettura (Il bar delle grandi speranze di J.R. Mohringer), i tre o quattro libri presi alla biblioteca di Grado (tra cui Festa mobile di Hemingway) o l’ultimo dei miei acquisti alla mia amata Lìbrati, libreria delle donne di Padova, cioè un bel libro illustrato su Clarice Lispector dal titolo Cercavo un’immensità?

O forse dovevo parlare di uno dei libri in francese che sto cercando di decifrare (per lo più biografie e testi di Marguerite Duras in lingua originale)?

Alla fine, visto che oggi è il 25 aprile, ho scelto di parlare di questo: Il Gattopardo.

Ho comprato Il Gattopardo un 25 aprile di diversi anni fa, quando vivevo ancora a Padova. Faceva parte di uno di quei libri che mi dicevo che avrei dovuto leggere e non avevo ancora letto (allora ero fissata coi classici).

E mi piaceva l’idea che nel giorno in cui si celebrava la nostra Repubblica io leggessi un libro che raccontava dell’Unità d’Italia.

Quindi quel 25 aprile sono andata a comprarlo alla Feltrinelli. La Feltrinelli è una delle librerie che preferisco, dove puoi trovare tutto e se non trovi qualcosa te lo ordinano.

Siccome era un giorno di festa non dovevo lavorare. Fuori c’era il sole, faceva caldo. Stranamente neanche il negozio dove ero assunta allora, che lavorava pure a Ferragosto, a Santo Stefano e il primo dell’anno, era aperta. Miracolo della nostra Costituzione.

Quindi uscita di casa a piedi, ho raggiunto la Feltrinelli e ho chiesto il libro a un commesso. Naturalmente ce l’avevano. Allora ho pagato e sono andata a leggermelo un po’ sui gradini della Gran Guardia in Piazza dei Signori. Di fronte a me il grande orologio Dondi segnava le ore. Era quasi mezzogiorno.

Il Gattopardo, romanzo scritto Giuseppe Tomasi di Lampedusa fra la fine del 1954 e il 1957 che, dopo essere stato rifiutato da molti editori, venne pubblicato, nel 1958, un anno dopo la morte del suo autore e vinse il premio Strega postumo nel 1959. Tomasi di Lampedusa non ha potuto assaporare la gloria.

Il libro racconta le trasformazioni avvenute nel periodo del Risorgimento, e il trapasso del regno borbonico, nel momento in cui si sta compiendo L’Unità d’Italia, seguita alla spedizione dei Mille di Garibaldi.

Il libro è diventato uno dei best seller del dopoguerra e uno dei più importanti libri della letteratura italiana. Nel 1963 sarebbe diventato anche un film, diretto da Luchino Visconti.

L’ironia sorniona del principe Fabrizio Salina, il protagonista, che non poteva credere al declino dell’aristocrazia, mi faceva sorridere, nonostante il suo egoismo e il suo maschilismo insito nella cultura del tempo e del Sud.

Quello che mi ricordo più di tutto de Il gattopardo è l’eleganza liquida della scrittura. E il sole della Sicilia che splendeva dappertutto e sembrava uscire perfino dalle pagine. Ma soprattutto la cosa che mi aveva colpito era la frase di suo nipote che cerca di convincerlo ad abbracciare la trasformazione, per lui incomprensibile, che stava attraversando la società: Bisogna essere al centro degli eventi, gli dice il nipote, perché: “Se non ci siamo anche noi (cito) quelli ti combinano la repubblica in quattro e quattr’otto. Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.” Così, per il nipote del principe Salina, non importava se dalla monarchia si passava alla Repubblica. Era la stessa cosa. Bastava fare il popolo contento, adattarsi alle masse, fingere di dargli quello che volevano e poi comandarli comunque, dirigerli, continuare a considerarli come prima, cioè un niente. E restare al centro della scena. Mantenere il proprio potere indipendentemente dalla forma che prendeva questo potere.

La Repubblica invece ha liberato la Libertà. Lo ha fatto a prezzo di battaglie e sangue. La celebriamo il 25 aprile, giorno di caduta del fascismo, giorno in cui celebriamo anche la Resistenza e la forza di quelli che si sono opposti al Regime. É stata una lotta. Fra loro non ci sono stati dei santi. Si sono fatte cose di cui a volte ci si è pentiti. Ma questo non riabilita il fascismo. L’errore più grande è stato il fascismo. E bisogna che ce lo ricordiamo. Che ci ricordiamo che, come diceva Benigni in un intervento al Festival di Sanremo che, mentre tutti sputtanavano Sanremo per farsi leggere di più sui post - perché si sa che gli insulti e i pettegolezzi fanno più notizia, siamo ancora il popolo di Beautiful - in quell’intervento di Benigni che, dicevo, a me è piaciuto, Benigni raccontava, o meglio, ci ricordava, che prima potevamo stare a casa nostra, in una sera simile a quella in cui guardavamo Sanremo, e qualcuno poteva venire a prenderci, a prendere una nostra sorella, o fratello, o fidanzato o figlio e portarlo via per torturarlo e ucciderlo solo perché quelli, sorella o fratello o fidanzato o figlio avevano detto o fatto qualcosa che non andava bene al regime, avevano osato dire la loro, esercitare la loro libertà.

Ora non è più così perché noi abbiamo il diritto di parlare, di manifestare, di esprimerci. È un diritto sancito dalla Costituzione. E la nostra Costituzione è fondata sui valori dell’antifascismo. Perché il fascismo, se esercitavamo la nostra libertà, ci uccideva.

La nostra Costituzione è stata scritta da uomini e donne, sì, anche da donne, dobbiamo ricordarcelo, che sono stati le madri e i padri della nostra Costituzione, e si sono riuniti per scrivere un documento che fosse il più rispettoso possibile dei nostri diritti e della nostra libertà. È per questo che ancora oggi festeggiamo il 25 aprile.

È per questo che mi arrabbio quando leggo che il Comune di Aquileia scrive lunghi post per dire che il 25 aprile è la giornata di San Marco e non scrive neanche una riga per celebrare l’anniversario della Liberazione e ribadire la sua importanza. Certo, organizza manifestazioni, ma le scrive in un post a parte, anche quelli senza una parola per il venticinque aprile. Ci mette solo un elenco, ma noi non abbiamo bisogno solo di elenchi, abbiamo bisogno anche di parole. Parole che ci spieghino cosa è accaduto e ci rassicurino che questo non accadrà più.

Abbiamo bisogno di ribadire ancora e ancora le nostre radici e quanto sia importante la libertà. Sia che siamo di destra o di sinistra dobbiamo rinnegare il fascismo.

Mentre omettere, trascurare, ignorare o sostituire i valori dell’antifascismo per ricondurli a un’altra festa è pericoloso. Noi non festeggiamo il 25 aprile perché è San Marco, non stiamo a casa per questo dal lavoro o da scuola, e ascoltiamo parlare i reduci e deponiamo corone d’alloro, no, lo facciamo perché il 25 aprile è la giornata di Liberazione dal fascismo.

Ed è per questo che inorridisco leggendo che a Gorizia negano la cittadinanza onoraria a Liliana Segre perché, dicono, politicamente strumentalizzabile, ma si accolgono con la fascia tricolore i simpatizzanti della Decima Mas, anche se la Decima Mas era una formazione collaborazionista dei nazisti, nota per la sua ferocia antipartigiana e antislovena. Non dobbiamo tacere e non dobbiamo travisare. E, forse, dovremo leggere più libri.

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